La musica di Ostad Elahi affonda le sue radici in una tradizione rimasta nascosta per secoli. Fino a tempi relativamente recenti, questa musica era suonata soltanto in piccoli gruppi riuniti per la preghiera e la contemplazione. Lo stesso Ostad Elahi non ha mai suonato in pubblico e praticava la musica a scopo di raccoglimento, da solo o con una cerchia ristretta di familiari e amici. I brani che ci rimangono risalgono soprattutto all’ultima parte della sua vita e le registrazioni sono state realizzate dai suoi familiari con strumentazioni non professionali. I brani registrati su nastro costituiscono un patrimonio di circa quaranta ore di musica, e solo in parte sono stati digitalizzati e pubblicati. La musica di Ostad Elahi ha segnato profondamente tutti coloro che hanno avuto l’occasione di ascoltarla, compresi molti insigni musicisti e musicologi.

Dal 5 agosto 2014 all’11 gennaio 2015, una mostra speciale al Metropolitan Museum of Art di New York, dal titolo “Il Sacro Liuto: l’Arte di Ostad Elahi”, ha fatto conoscere questa musica a un vasto pubblico internazionale, e ha documentato l’originale trasformazione del tanbur, della sua tecnica esecutiva e del suo repertorio da parte di Ostad Elahi; tali innovazioni nel loro insieme hanno elevato questa antica tradizione musicale a una forma di arte colta.

Un bambino prodigio

Ostad Elahi nacque in un ambiente dove, per secoli, la pratica della musica sacra aveva fatto parte della vita quotidiana. Fin dalla prima infanzia, manifestò una predisposizione e doti eccezionali per la musica, specialmente per il tanbur, un liuto curdo che era lo strumento prediletto della tradizione della quale egli era erede. Suo padre, Hadj Nematollah, che era uno dei maestri dell’epoca nell’arte del tanbur, sin dall’inizio si occupò personalmente dell’educazione musicale di suo figlio. Quando il giovane Nur Ali cominciò a suonare il tanbur, era talmente piccolo che le sue mani non riuscivano a raggiungere i tasti di uno strumento di normali dimensioni; così suo padre gli fece costruire un tanbur speciale utilizzando un mestolo di legno.

Tra gli amici e i mistici che venivano a incontrare Hadj Nematollah dalle diverse regioni dell’Iran o anche dai Paesi limitrofi, vi erano molti eccellenti musicisti. Il bambino passava una buona parte del suo tempo con questi pellegrini che, su richiesta di Hadj Nematollah, insegnavano al giovane Elahi i segreti della loro arte. Allo stesso modo, ogni qualvolta viaggiava insieme a suo padre nelle diverse regioni, i suonatori di tanbur del luogo trasmettevano le loro conoscenze a questo bambino prodigio.

Così, sin dalla prima infanzia, Ostad Elahi familiarizzò con le sottigliezze tecniche della musica curda, lori, persiana, turca, araba, e persino indiana. La sua predisposizione per la musica era tale che, già a sei anni, la sua maestria nel suonare e la sua conoscenza del repertorio suscitavano ammirazione; a nove anni, nessuno osava suonare in sua presenza come segno di rispetto e di deferenza. Il ciclo di ascesi, che intraprese a quell’età e che durò per dodici anni, gli permise di approfondire il suo legame con lo strumento, mentre andava esplorando nuovi mondi spirituali, uno dopo l’altro, attraverso il suo repertorio sacro. Fu proprio in quel periodo che a volte gli accadeva di passare la notte intera suonando il tanbur sino all’alba, immerso nella devozione e nelle visioni spirituali; al riguardo egli stesso affermò che era come se si alzassero dei veli e gli si rivelassero i misteri del mondo invisibile. Forse furono questi stati spirituali a rafforzare il suo legame con la musica sacra in generale e con il tanbur in particolare, tanto che suonare ebbe sempre uno spazio importante nell’arco della sua giornata.

Quando ero giovane, avevamo una casa confortevole in ogni suo aspetto… Io avevo una stanza solo per me e di tanto in tanto prendevo il mio tanbur durante la notte e suonavo musica sacra… talvolta trovavo che la stanza era inondata dalla luce del sole e mi accorgevo di aver trascorso l’intera notte a suonare il tanbur.

Un giorno mi fu regalata una pernice che si era innamorata del mio tanbur. Ogni volta che volevo prendere il mio strumento, lei si posava sulle mie ginocchia e poco dopo, entrava in una sorta di inebriamento, si metteva a tubare, afferrava la mia mano e cominciava a darmi dei piccoli colpi col becco; in breve, era ebbra di gioia. La notte, dormiva su uno scaffale della mia camera. Una mattina di buon’ora, mentre stavo andando a dormire, si mise a cantare e io la misi a tacere per stare in tranquillità. Immediatamente abbassò il capo e rimase in silenzio. Da quel giorno in poi, quando si svegliava al mattino presto, prima si posava ai piedi del mio letto, tirava leggermente le coperte ed emetteva alcuni piccoli suoni. Se non dicevo nulla, dopo due o tre tentativi capiva che stavo dormendo e se ne andava. Altrimenti … le dicevo «Ah, che bella voce!», … e lei si metteva immediatamente a cantare.

Anche nel corso della sua carriera professionale, la musica ebbe un ruolo di rilievo nella vita di Ostad Elahi. Non solo utilizzava la musica come mezzo per stabilire una connessione con la Fonte, ma era anche impegnato in una costante ricerca. In ogni luogo in cui ha vissuto, nelle diverse sedi giudiziarie alle quali veniva assegnato, egli incontrava e instaurava rapporti amichevoli con i musicisti insigni del luogo, allo scopo di approfondire e studiare nuove tecniche. Anche a Teheran ebbe contatti con alcuni grandi maestri del tempo, in particolare con Darvish Khan e Abolhasan Saba. Oltre al tanbur, Ostad Elahi era esperto anche nell’arte del tar, del setar e del violino. Fu proprio durante i suoi trasferimenti da una sede all’altra, che approfondì anche la sua conoscenza della musica turca e di quella del Khorasan.

Ci sono due cose per le quali il mio tempo è stato speso bene: il tanbur e la pratica spirituale.

Dal momento che per Ostad Elahi la musica era soprattutto uno strumento di riflessione e di preghiera, egli suonava sempre da solo o in riunioni intime con familiari e amici.